Dal caos alla follia: così ci vede il mondo
Di BEPPE
SEVERGNINI
Occorre spettacolare incoscienza, e notevole miopia, per non vedere le
conseguenze di una crisi di governo.
Con i conti pubblici in affanno, alla vigilia della legge di bilancio, con un elettorato spaccato in tre e senza una legge elettorale che garantisca un vincitore, chi correrebbe un rischio
del genere? La risposta la conosciamo. La conosce anche l'opinione pubblica internazionale, e aspetta di vedere come va a finire. Ma non ha né molto tempo né grande pazienza, stavolta.
Con i conti pubblici in affanno, alla vigilia della legge di bilancio, con un elettorato spaccato in tre e senza una legge elettorale che garantisca un vincitore, chi correrebbe un rischio
del genere? La risposta la conosciamo. La conosce anche l'opinione pubblica internazionale, e aspetta di vedere come va a finire. Ma non ha né molto tempo né grande pazienza, stavolta.
Enrico
Letta era appena stato a Londra e New York, cercando di spiegare e
rassicurare. Quello che è accaduto durante il fine settimana è, per lui e
per noi tutti, umiliante e grottesco. Ai nostri rappresentanti, che mercoledì
decideranno del futuro del governo, possiamo solo chiedere d'essere
responsabili, per una volta. Ma a chi ci guarda da lontano dobbiamo dire
qualcosa di più, e dare un motivo di speranza. Certo, non è facile essere
ottimisti davanti a un fuoco di sbarramento di titoli dove, senza distinzioni di
latitudine, si ripetono gli stessi vocaboli: precipizio, collasso, scacco, caos,
follia. A quanti ci osservano da fuori - per interesse, curiosità o simpatia -
dobbiamo però avere la forza di annunciare: signori, è la fine di un'epoca.
La crisi sui siti del mondo
L'anomalia
italiana rappresentata da Silvio Berlusconi - anomalia sorretta dal voto, non
dimentichiamolo - sta per finire. La decisione di creare un proprio partito e
scendere in campo risale all'autunno del 1993. Vent'anni dopo quel partito è
nominalmente ricomparso, ma il suo leader è l'ombra dell'uomo di allora.
L'Italia non è più «il Paese che ama». Se l'amasse, almeno un po', non lo
terrebbe in ostaggio. La decisione rabbiosa di ritirare l'appoggio al governo -
presa insieme a pochi fedeli, resa pubblica in una domenica di pioggia - segna
la fine di una stagione. Un finale malinconico per una rappresentazione che ha
avuto, agli occhi spietati del mondo, aspetti farseschi: gli scarti d'umore, le
virate improvvise, i videomessaggi, i falchi e le colombe, il delfino angosciato
(provate a tradurre in tedesco o in inglese «Sarò diversamente
berlusconiano»!).
È
inutile nasconderselo. In ogni altra democrazia sarebbe inconcepibile che un
leader colpito da una condanna definitiva per frode fiscale, e coinvolto in
altri processi per gravi reati, possa continuare a dettare condizioni. Fuori
d'Italia avrebbero capito - e forse segretamente ammirato - un'uscita di scena
dignitosa, accettando le leggi del proprio Paese. Non capiscono invece - non a
Londra e non a Washington, non a Berlino e nemmeno a Pechino - che la seconda
potenza industriale europea sia in balia dei fantasmi di un uomo «incapace di
separare il proprio destino da quello della nazione» (The
Guardian ).
Nessun
leader, per nessun motivo, può usare la propria gente come scudo. Silvio
Berlusconi non è il colonnello Kurtz. Niente Apocalypse
Now . L'Italia non vuole
l'apocalisse: né ora né mai. Vuole invece vedere l'alba di una convivenza nuova,
e deve convincere partner e alleati che manca poco: la notte è stata abbastanza
lunga.
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