NO TAV e Tifosi vandali due pesi e due misure
di Marco Aime
«Sabato 21 febbraio.
Una pioggerellina incerta innervosisce le strade di Torino. Non
abbastanza da impedire a migliaia di persone venute dalla valle di
Susa e altrove per manifestare contro il Tav. Lo
schieramento di forze dell’ordine è imponente. I neri e spigolosi furgoni
blindati minacciano dal bordo del viale. Poliziotti, Carabinieri, Guardia di
Finanza in assetto da combattimento attendono allineati.
In prima fila i
sindaci della valle con la fascia tricolore: un segno forte di
attaccamento alle Istituzioni, nonostante le posizioni antagoniste. Poi un
trenino, di quelli che solitamente percorrono i centri storici delle città,
porta bambini e qualche signora più anziana, che forse non ce la fa a camminare
o forse è la nonna di qualcuno di quei piccoli. Una piccola banda di ottoni
suona motivetti vari e anche Bella ciao.
Due ragazzini con il fazzoletto No Tav al
collo entrano in un bar di via Cernaia. Con gentilezza chiedono di potere andare
in bagno. Con altrettanta gentilezza le due signore dietro al bancone rispondono
di sì. “Grazie, abbiamo chiesto in altri quattro bar, ma ci hanno detto tutti di
no”. “Ci mancherebbe, è un servizio pubblico”.
Fuori sfilano
allegramente giovani incappucciati nelle loro felpe in odore di centro
sociale, anziani barbuti che sanno di montagna, passano i cattolici
della valle e le bandiere nere degli anarchici, quelle rosse con falce e
martello e lo striscione dei Npi – Nucleo Pintoni Attivi (per i piemontesi il
pintone è il bottiglione di vino) con lo slogan: ‘Dall’ultima battaglia
all’ultima bottiglia’.
Sembra una sagra di paese per certi versi.
Solo alcuni slogan anti-Digos ricordano i cortei del passato. Per il resto
l’atmosfera è diversa.
Mentre passeggio su
e giù per il corteo, mi passano davanti agli occhi le
immagini della recente devastazione di Piazza di Spagna e della sua fontana da
parte dei tifosi olandesi del Feyenoord. Certamente, ci sono state parole di indignazione da
tutte le parti (e ci mancherebbe!), ma quanti di quei vandali
saranno arrestati? Quanti saranno accusati di terrorismo? Ci sono, invece,
esponenti del movimento No-Tav in carcere e molti altri su cui pende
l’accusa di terrorismo, magari perché hanno sabotato un
escavatore il cui valore è difficilmente comparabile con l’opera dei Bernini
padre e figlio. Peraltro non è la prima volta che le violenze che fanno da
corollario al calcio finiscano per avere come effetto distruzione e
devastazione, magari non sempre di monumenti, ma di arredi urbani, auto e
vetrine sì.
È significativo
notare il differente comportamento di autorità e polizia nei confronti dei
tifosi rispetto a quello riservato a chi manifesta per qualche idea o principio
politico. A nessun gruppo di tifosi è mai stato riservato un
trattamento simile a quello della scuola Diaz di Genova nel
2001 o del presidio di Venaus nel 2005. Il carico di violenza e di accanimento
usato in questi e altri casi di manifestazioni “politiche” è senza
dubbio superiore a quello adottato verso i tifosi. Lungi da me esaltare i
manganelli, ma i due pesi e le due misure suggeriscono che dietro ci sia sempre
la difesa di interessi specifici. Il
calcio è
una macchina da soldi, in nome del quale si possono
tollerare insulti, violenze, ricatti (ricordiamo Genny a’ carogna?) perché
funzionali o comunque organici al sistema. Anche le grandi opere come il tunnel
in val di Susa creano un giro di affari notevole ma chi protesta questa volta è
contro e pertanto va represso. La violenza, se utile allo Stato e ai poteri
economici può essere tollerata, minimizzata, relativizzata e non troppo
contrastata. Se una qualsiasi forza si oppone alle stesse istituzioni e agli
stessi poteri in nome di una idea, della difesa del territorio, della
vivibilità, viene invece subito demonizzata,
combattuta pesantemente a volte repressa.
La pioggia continua
a cadere, ma sono in circa diecimila a sfilare tra canti, slogan e musiche
provenzali. I poliziotti che chiudono la manifestazione si schierano in coda e
le loro divise scure d’improvviso fanno da sfondo a due signori, un uomo e una
donna che con scopa, paletta e un sacco raccolgono i rifiuti lasciati dal
passaggio dei manifestanti. Pochissimi».
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