Tav, la guerra dei due mondi

Ho notato che ultimamente sta venendo fuori sulla questione TAV, anche da parte di persone che stimo come Massimo Gramellini o la Litizzetto, questo atteggiamento: tutti faziosi da una parte e dall’altra; i dati scientifici vengono modificati a seconda di chi li sostiene; è ora di affidare ai tecnici il compito di chiarire.

Ma non scherziamo!!!

Il TAV è cosa ben precisa e non presenta affatto due facce contrastanti. Chi sostiene questo, anche in buona fede, sbaglia.

Questi i dati incontestabili sul Terzo Valico emersi da una lunga serie di studi con tanto di documentazioni prodotti da un centinaio di docenti universitari, tecnici ed esperti in trasportistica, quali Ivan Cicconi, Zambrini,Tartaglia, Ballotta, Vittadini, Marco Ponti, Anna Donati, Stefano Lenzi.

- I cinquantamila passeggeri al giorno risalenti al progetto del 1992 sono ora non più di tremila.

- A supporto di quanto affermiamo basterebbe darsi un’occhiata indietro (cosa che i pro TAV non fanno mai) e ricordarci che pochi anni fa il progetto Torino-Milano prevedeva 120 coppie di treni A.V. al giorno e ora sono solo nove e quasi sempre semivuoti.

- Le attuali due linee alle spalle di Genova possono trasportare tranquillamente 2 milioni di container all’anno. Nel 1992 il progetto parlava di aumento sino a 4 milioni. Ora, fine 2011, sono 1.700.000 di cui solo il 3,5% (dichiarazione dell’Authority del porto di Genova) salgono sui treni verso nord. Ammesso che si riesca a portare la percentuale (ma non vi è nulla che punti in questa direzione) ad uno stratosferico 20% si arriverebbe al massimo a 340.000 container. Su questo tema, mai abbiamo letto una qualsiasi dichiarazione da parte di chi vuol gettare ( o meglio, raccogliere per sè) sei miliardi di euro, assai più utili per la manutenzione ed efficienza delle ferrovie esistenti, per le pensioni, per una sanità che sta andando allo sfascio, per una scuola in totale crisi, per la piccola imprenditorialità lasciata nella disperazione.

- I contributi dell’Unione europea non esistono e non ve ne è alcuna traccia.

- Il costo di oltre sei miliardi è stato dichiarato in tutti i consessi dei pro TAV e dei politici. Solo ultimamente si parla di 4.800 milioni, escludendo le opere di compensazione ai Comuni. Di conseguenza il TAV Genova-Milano costerà 1.80 euro per centimetro!

- Il costo doveva essere coperto al 60 per cento dai privati, ma nel 1994 il ministro Burlando dichiarò che sarebbe stato tutto a carico dello Stato.

- Il direttore di Trenitalia, Italo Moretti ha dichiarato (lui non noi) che la nuova tratta A.V. riuscirà al massimo a ricuperare il 15% dei costi e l’85% per alcuni decenni sarà a carico degli attuali e futuri contribuenti italiani.

- Sarà una ferrovia che ridurrà la percorrenza passeggeri verso Milano di un quarto d’ora; servirà anche per il trasporto merci verso la Valle Padana; consentirà un trasporto veloce di merci verso Lisbona da una parte e verso Kiev dall’altra; i container di Genova, provenienti da Shangai potranno defluire verso Rotterdam: così si è modificata varie volte la motivazione del Terzo Valico! Non è detto che, visto che di tempo ne passerà ancora parecchio, non salterà fuori qualche altra panzana. Per ora il massimo è stato raggiunto con la storia dell’abbinamento Alta Velocità e Alta Capacità dichiarate incompatibili da tutti i tecnici del mondo (eccetto Luigi Grillo) e, infatti, mai realizzata in lcun paese.

- La presenza dell’amianto nell’Appennino fra la Val Lemme e Ronco non è invenzione nostra, ma è stata accertata da uno studio dell’Arpa in merito a una proposta di impianto eolico. Certo occorre essere più documentati, ma non ci pare che la risposta (si fa solo del terrorismo, non c’è affatto amianto... e se poi e nei fosse affronteremo i lavori con le opportune tutele) sia degna di persone scrupolose, obiettive e attente alla salute dei lavoratori e delle popolazioni.


PROSEGUIAMO CON BRANI DI UN ARTICOLO DI GUIDO VIALE

Quello in atto in Valle di Susa è un autentico «scontro di civiltà»: la manifestazione di due modi contrapposti e paradigmatici di concepire e di vivere i rapporti sociali, le relazioni con il territorio, l’attività economica, la cultura, il diritto, la politica.

Quale che sia l’esito, a breve e sul lungo periodo, di questo confronto impari, è bene che tutte le persone di buona volontà si rendano conto della posta in gioco: può essere di grande aiuto per gli abitanti della Valle di Susa; ma soprattutto di grande aiuto per le battaglie di tutti noi. Da una parte c’è una comunità, che non è certo il retaggio di un passato remoto, che si è andata consolidando nel corso di 23 anni di contrapposizione a un progetto distruttivo e insensato, dopo aver subito e sperimentato per i precedenti 10 anni gli effetti devastanti  altre Grandi Opere: l’A32 Torino-Bardonecchia e gli elettrodotti a 380.000..

Gli ingredienti di questo nuovo modo di fare comunità sono molti. Innanzitutto la trasparenza, cioè l’informazione: puntuale, tempestiva, diffusa e soprattutto non menzognera, sulle caratteristiche del progetto.

Un’informazione che non ha mai nascosto né distorto le tesi contrarie, ma anzi le ha divulgate (a differenza dei sostenitori del Tav), supportata da robuste analisi tecniche ed economiche: gli esperti firmatari di un appello al governo Monti perché receda dalle decisioni sul Tav Torino-Lione sono più di 360; significativo il fatto che un Governo di cosiddetti «tecnici» il parere dei tecnici veri non lo voglia neppure ascoltare. Poi c’è stata un’opera capillare di divulgazione con il passaparola - forse il più potente ed efficace degli strumenti di informazione - ma anche con scritti, col web (i siti del movimento sono molti e sempre aggiornati); ma senza mai avere accesso - in 23 anni! - alla stampa e alle tv nazionali, se non per esserne denigrati.

Secondo, il confronto: il movimento non ha mai esitato a misurarsi con le tesi avverse: nei dibattiti pubblici - quando è stato possibile - nelle istituzioni; nelle campagne elettorali; nelle amministrazioni

Il terzo elemento è il conflitto: non avrebbe mai raggiunto una simile dimensione e determinazione se l’informazione non avesse avuto tanta profondità e diffusione. Ma sono le dure prove a cui è stata sottoposta la popolazione ad aver cementato tra tutti i membri della cittadinanza attiva della valle rapporti di fiducia reciproca così stretti e solidi.

Il quarto elemento è l’organizzazione, strumento fondamentale della partecipazione popolare: i presìdi, numerosi, sempre attivi e frequentati, nonostante le molteplici distruzioni di origine sia poliziesca che malavitosa; le frequenti manifestazioni; i blocchi stradali; le centinaia di dibattiti; la presentazione e il successo di molte liste civiche; la rete fittissima di contatti personali nella valle; il sostegno che il movimento ha saputo raccogliere e promuovere su tutto il territorio nazionale.

E i risultati? Rispetto all’obiettivo di bloccare quel progetto assurdo, zero. O, meglio, il ritardo di vent’anni (per ora) del suo avvio. Ma quella lotta ha prodotto e diffuso tra tutti gli abitanti della valle saperi importanti; un processo di acculturazione (basta sentire con quanta proprietà e capacità di affrontare questioni complesse si esprimono; e poi metterla a confronto con i vaniloqui dei politici e degli esperti che frequentano i talkshow); una riflessione collettiva sulle ragioni del proprio agire. Ha creato uno spazio pubblico di socialità e di confronto in ogni comune della valle. Ha permesso di rivitalizzare una parte importante delle proprie tradizioni. Ha unito giovani, adulti, anziani e bambini, donne - soprattutto - e uomini in attività condivise che non hanno uguale nelle società di oggi. Ha allargato gli orizzonti di tutti sul paese, sul mondo, sulla politica, sull’economia (altro che «nimby»!

Ha ridato senso alla politica, all’autogoverno, alla partecipazione: per lo meno a livello locale. Ha aiutato tutti a sentirsi più autonomi, più sicuri di sé, più cittadini di una società da rifondare.

E dall’altra parte? Schierati contro il movimento NoTav ci sono la cultura, l’economia, la metafisica e la violenza delle Grandi Opere: la forma di organizzazione più matura raggiunta (finora) del capitalismo finanziario: la «fabbrica» che non c’è più, divisa in strati e dispersa in miriadi di frantumi. Le caratteristiche di questo modello sociale, che ritroviamo tutte nel progetto Torino-Lione, sono state esemplarmente enucleate da Ivan Cicconi ne Il Libro nero dell’alta velocità (Koiné; 2011) e qui mi limito a richiamarle per sommi capi. La «Grande Opera» è innanzitutto un intervento completamente slegato dal territorio su cui insiste, indifferente alle sue sorti prima, durante e soprattutto dopo la fine dei lavori, quando, compiuti o incompiuti che siano, li abbandona lasciando dietro di sé il disastro. Non è importante che sia utile o redditizia.

L’importante è che la «Grande Opera» si faccia e che alla fine lo stato paghi. E’ una grande consumatrice di risorse a perdere: suolo, materiali, energia, denaro (non di lavoro, comunque temporaneo e per lo più precario, che a lavori conclusi viene abbandonato a se stesso insieme al territorio). Per questo ha bisogno di grandi società di gestione e di grandi finanziamenti, cioè del coinvolgimento diretto di banche e alta finanza (il ministro Corrado Passera ne sa qualcosa); non per assumersi l’onere della spesa, ma solo per fare da schermo temporaneo a un finanziamento che alla fine ricadrà sul bilancio pubblico.



Antonello Brunetti

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