Matteo Bandello, Nicolò Machiavelli e Mario Monti

Fra il dire e il fare, nel 1526 come nel 2011, c’è di mezzo il mare. E anche i Monti.

Ma questo Monti è quel tizio che  attaccava le lobby. Quello che se la prendeva con le rendite. Quello che criticava l’eccesso di pressione fiscale. Quello che voleva tagliare gli aiuti alle imprese. Insomma, quello che insegnava alla Bocconi e scriveva sulCorriere’ ? Che però dev’essere solo un omomino del tizio che sta a Palazzo Chigi
di MARCO TRAVAGLIO su L’Espresso

In una celebre dedica (novella XL della Prima parte del NOVELLIERE incentrata su  una vicenda curiosa relativa ad una scaltra donna che tradisce il vecchio marito) a Giovanni Medici dalle Bande Nere, Matteo Bandello, novelliere (nato a Castelnuovo Scrivia nel 1483) e vescovo del Cinquecento, prende bonariamente in giro Niccolò Machiavelli che in un torrido pomeriggio dell’estate del 1526, tirandosela assai per avere scritto il primo trattato teorico “Dell’arte della guerra”, decise di dare una dimostrazione pratica della genialità delle sue strategie militari nel campo di Giovanni dalle Bande Nere che stava assediando Milano. Solo che Messer Niccolò, decisamente più bravo con la penna in mano che con la spada in pugno, si impappinò per due ore buone sotto il sole cocente senza riuscire neppure a disporre i 3 mila fanti “secondo quell’ordine che aveva scritto” nel suo saggio, tra i risolini e gli imbarazzi generali della truppa ansiosa di andare a pranzo.
Tra lo spazientito e il divertito, il leggendario Capitano gli disse di lasciar fare a lui e provvide personalmente a ordinare i suoi soldati “in un batter d’occhio con l’aita dei tamburini… con ammirazione grandissima di chi vi si trovò“. Poi invitò a pranzo Machiavelli e gli chiese di narrare “una delle sue piacevoli novelle”, richiamandolo al suo vero e unico mestiere: quello di scrittore.
Bandello, col suo racconto, voleva dimostrare quanta differenza sia da chi sa e non ha messo in opera ciò che sa, da quello che oltra il sapere ha più volte messo le mani, come dir si suole, in pasta, e dedutto il pensiero e concetto de l’animo suo in opera esteriore“.
Chissà se il professor Mario Monti che, con i suoi insigni tecnici, si propone modestamente di “salvare l’Italia” conosce quella novella e la sua morale. Si direbbe di no, a confrontare l’ultima versione della sua manovra finanziaria con il Monti-pensiero, distillato negli ultimi anni in tanti articoli, conferenze e interviste di cui il quotidiano “Libero” ha proposto un’antologia. “Servono tagli agli aiuti statali alle imprese, liberalizzazione delle professioni, del commercio, del credito, intensificazione della lotta all’evasione fiscale… E la discesa della pressione fiscale di un punto sarebbe auspicabile”, predicava l’allora commissario europeo alla Concorrenza nell’audizione del 13 luglio 1999 davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Un’aspra critica che oggi il professor Monti potrebbe ripetere pari pari sulla manovra del premier Monti. Che non taglia di un euro i 40 miliardi di aiuti statali alle imprese, anzi favorisce opere inutili e costosissime e rincari chge vanno tutti a loro beneficio, si rimangia le poche liberalizzazioni annunciate, fa volare la pressione fiscale al 47 per cento e l’evasione la sfiora appena. Critiche ancor più feroci il Professore bocconiano riservava alla politica economica del secondo governo Prodi, sul “Corriere” dell’8 ottobre 2006: “Un bilancio non all’altezza” perché, “rispetto ai propositi annunciati, il contenimento del disavanzo è affidato dalla Finanziaria più a maggiori entrate che a minori spese. Sono limitati i provvedimenti di carattere strutturale”. Le stesse critiche che oggi, in mancanza del professor Monti divenuto premier, rivolgono alla sua manovra la Corte dei Conti, il governatore della Banca d’Italia e l’Istat: troppe tasse e pochi risparmi
Nel 2008, mentre cadeva il governo Prodi-2, il Monti professore denunciava in un’intervista alla “Stampa“: “Nessuno tocca le lobby, sono loro a creare prezzi più alti e minore crescita“. Poi la solita giaculatoria sulla pressione fiscale troppo elevata: “Speriamo che sia possibile ridurla. Ma perché non dare priorità massima alla riduzione della fiscalità da rendite? Ogni privilegio crea una rendita. Ogni rendita ha gli effetti di una tassa. Parole sante, che oggi Monti-1 potrebbe tranquillamente dedicare a Monti-2.
Le ultime bacchettate prima di salire a Palazzo Chigi il professor Monti le aveva riservate alle due manovre estive del governo Berlusconi, per via della “mancata riduzione strutturale della spesa corrente“. E mai aveva suggerito ad alcun governo di aumentare le tasse sulla prima casa, o sulle auto, o sui consumi, o sulle pensioni, né tantomeno i prezzi dei tabacchi e le accise sulla benzina.
Quella, giustamente, era roba da Prima Repubblica. Ora però ci è cascato anche lui. Come il Machiavelli che tentava invano di tradurre in pratica le sue teorie militari.

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