Scambiamoci i semi, difenderemo la biodiversità
Ronco Scrivia (GE) - Lo scambio dei semi tra contadini e appassionati della campagna sta diventando un fenomeno di costume. Nel 2001 si faceva solo in provincia di Genova (prima in Valgraveglia, poi a Torriglia) e a Firenze,
oggi le feste dei semi sono diffuse in quasi tutte le regioni d’Italia,
in decine e decine di iniziative, tanto da rientrare a pieno titolo tra
le (buone) mode del nostro tempo. E domani, proprio alle spalle di Genova, a Ronco Scrivia (di fronte al piazzale della stazione ferroviaria), si terrà il “Mandillo dei semi”, la prima e più grande festa dello scambio di semi autoprodotti
che si tiene in Italia: contadini, appassionati, curiosi e amanti della
terra – 1.500 i partecipanti lo scorso anno – che s’incontrano per
parlare di orti e colture e scambiare (o donare) i propri semi e lieviti
di casa, per esempio la pasta madre.
Come nasce questa moda? Tutto parte da una direttiva europea, la numero 95 del 1998, che sanciva il divieto di vendere, scambiare o donare (parlava di “cessione a titolo oneroso o non oneroso”) i semi delle varietà che non sono inserite nei cataloghi nazionali, dove di fatto possono trovare posto solo le varietà stabili e omogenee, come sono quelle selezionate dalle industrie sementiere. Così stabilito, la direttiva europea metteva implicitamente al bando la vendita, lo scambio o il dono delle varietà autoprodotte e tramandate dai contadini, le quali, non essendo state sottoposte a una rigida selezione, sono soggette a continui adattamenti al clima e all’ambiente e, perciò, non possono essere stabili né dare prodotti omogenei.
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Come nasce questa moda? Tutto parte da una direttiva europea, la numero 95 del 1998, che sanciva il divieto di vendere, scambiare o donare (parlava di “cessione a titolo oneroso o non oneroso”) i semi delle varietà che non sono inserite nei cataloghi nazionali, dove di fatto possono trovare posto solo le varietà stabili e omogenee, come sono quelle selezionate dalle industrie sementiere. Così stabilito, la direttiva europea metteva implicitamente al bando la vendita, lo scambio o il dono delle varietà autoprodotte e tramandate dai contadini, le quali, non essendo state sottoposte a una rigida selezione, sono soggette a continui adattamenti al clima e all’ambiente e, perciò, non possono essere stabili né dare prodotti omogenei.
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