Stop all’invasione dell’olio di palma

Dal prossimo 13 dicembre milioni di consumatori italiani ed europei scopriranno la presenza di un nuovo ingrediente in migliaia di prodotti alimentari. Stiamo parlando dell’olio di palma, una sostanza fino a oggi camuffata dietro la scritta “olii e grassi vegetali”. Per rendersi conto di quanto l’olio di palma sia diffuso basta dire che è il grasso principale di quasi tutte le merendine, i biscotti, gli snack dolci e salati, le creme… in vendita nei supermercati. L’ampio utilizzo di questa materia prima è dovuto sia al costo estremamente basso, sia al fatto di avere caratteristiche simili al burro.

Il Fatto Alimentare dice “no” all’olio di palma per motivi etici, ambientali e di salute e invita le aziende a sostituirlo con altri oli vegetali non idrogenati o burro.

1) La produzione di palma è correlata alla rapina delle terre e alla deportazione di milioni di famiglie africane e asiatiche (land grabbing). È inoltre causa primaria della deforestazione di aree boschive (prima causa di emissioni di CO2 nel Sud-Est asiatico) e della devastazione degli “habitat” naturali per lasciare spazio alle monocolture come quelle della palma da olio. Queste operazioni comportano gravi violazioni dei diritti umani, l’eliminazione della sovranità alimentare e la riduzione della biodiversità. Per stemperare le problematiche e ripulire l’immagine dell’olio di palma esiste una certificazione sostenibile (RSPO), che tuttavia copre solo una quota minima della produzione, senza neppure mitigare i problemi denunciati.

2) L’olio di palma viene utilizzato dalla maggior parte delle aziende alimentari perché costa poco e si presta a molti utilizzi. Secondo i nutrizionisti l’assunzione giornaliera di dosi elevate di questo ingrediente può risultare dannosa per la salute a causa della presenza dei grassi saturi. Questa ipotesi si verifica più spesso di quanto si creda, visto che il palma si trova nella maggior parte degli alimenti trasformati, soprattutto in quelli più consumati dai giovani. Anche se in Italia non esistono studi sul consumo pro-capite, i nutrizionisti consigliano di limitarne l’assunzione, in particolare ai bambini che sono i più esposti.

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